Paolo Ghidini: una normale mattina da record - 20/04/2016

Alcuni sostengono che per fare una maratona non serva coraggio, ma follia. Tuttavia, ero lucido quando la sera del 16 dicembre 2015, dopo essere tornato a casa dal lavoro, presi un’importante decisione: il giorno seguente avrei fatto la maratona. “Vediamo come mi sveglio. E se sono in vena, ci provo”.

Già da tempo, infatti, sognavo di farla sul remoergometro, ma senza particolari ambizioni. Solo per il gusto di portarla a termine. Anche perché, contrariamente a quanto si pensa, è più una questione mentale che fisica. A proposito, quasi dimenticavo: il mio nome è Paolo Ghidini, sono un canottiere e un vigile del fuoco. Questa è la storia di una “normale” mattina da record.

Una normale mattina da record

Secondo Freud, il pazzo è “semplicemente” un sognatore sveglio. E la mattina del 17 dicembre sono vigile quanto basta. Dopo una ricca colazione, mi dirigo verso la Canottieri Sebino. Mi cambio, preparo due bottigliette d’acqua e due barrette. Non c’è nessuno, ma la solitudine non è mai stata un problema. Non voglio nemmeno la compagnia della musica. Non sono mai stato abituato ad averla in allenamento e oggi preferisco stare solo in compagnia dei miei pensieri.

La testa è sgombra. Mi accomodo sul carrello. Inserisco la logcard nel display (non si sa mai) e imposto la distanza: 42 km e 195 metri. Infilo le scarpette nella pedaliera. Sciolgo i muscoli delle spalle. Mi allungo, afferro il manubrio e parto. Remata dopo remata, i metri scorrono. Mentalmente e fisicamente non mi sembrano pesare. Tuttavia, al 20° km eccoli che arrivano, i demoni del canottiere. Quelle voci di dentro che ti urlano contro, dicendoti che non ce la farai. Ti invitano a fermarti, a smettere di soffrire e tornartene a casa.

Dovrebbero saperlo che non li ascolterò. Non lo feci il 24 luglio 2013, quando a Linz vinsi il mondiale U.23 nel quattro di coppia pl con Matteo Mulas, Francesco Pegoraro e Michele Quaranta. E nemmeno un mese dopo, quando mi misi al collo un bronzo nella stessa specialità agli assoluti di Chungju. Stesso equipaggio, con Andrea Cereda al posto di Michele. Stessa storia nel 2014, quando vinsi l’argento, sempre ai mondiali U.23 di Varese. Insieme a me e a Matteo, quella volta c’erano i due Edoardo: Margheri e Buoli.

Si può pensare parecchio in 42 km e 195 metri ed è nei miei ricordi che trovo la determinazione per non cedere. Sono concentrato e convinto di riuscire ad arrivare in fondo. Ha ragione George Yeoman Pocock, quando dice che per vogare serve la forza della testa, oltre a quella delle mani. I pensieri di un canottiere devono essere sempre positivi. Quando sul mio display leggo 42 km e 195 metri mi sento soddisfatto e felice di avercela fatta. Sono stanco, ma non morto!

Asciugo la pozza di sudore sotto il remergometro, faccio una foto al display e mi butto sotto la doccia. Devo sbrigarmi, perché alle 13 mio fratello Michele esce da scuola. E’ lui il primo a cui racconto la mia avventura. “Ma tu sei fuori!”, mi risponde ridendo. Una volta a casa, mangio un piattone di pasta e poi mi “fondo” con il divano, che è li ad aspettarmi. Al mio risveglio, impiego più di cinque minuti a capire chi sono e dove mi trovo. Poi ricordo tutto. Così, accompagno Michele ai suoi allenamenti e vado al lavoro. Mi aspetta il turno di notte fino alle 8 del giorno successivo.

Ed è proprio il giorno dopo, che mi comunicano qualcosa di inaspettato. «Ciao Paolo, sei il nuovo primatista italiano nella maratona della tua categoria!». Sono felicissimo, anche quando sette giorni dopo l’amico Edoardo Margheri batterà il mio record. Non ho mai remato da professionista. Ho sempre lavorato e remato. Purtroppo, in Italia il canottaggio non è considerato molto. Si fa tanta fatica per un piacere personale e si fa anche poco per incentivare le persone a continuare. Perché se lo si vuole fare ad alti livelli è dura conciliare allenamento e lavoro. Però, esistono anche giornate come questa, dalle quali non ti aspetti nulla, ma che all’improvviso si rivelano “normalmente” straordinarie.

Paolo Ghidini

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